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Prànàyàma ed esercizi di respirazione

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Il Pranayama è una scienza teorico-pratica che studia i metodi per controllare il Prana, la forza vitale che anima il corpo fisico, e farlo circolare, attraverso le Nadi, correttamente sia nel corpo eterico che nel corpo umano.

Attraverso la pratica del Pranayama è possibile divenire consapevoli del Pranamaya Kosha, il corpo di energia; inoltre è possibile migliorare la propria condizione psico-fisica o accedere a stati che trascendono la normale consapevolezza.

Esistono diverse tecniche di praticare il Pranayama, vari metodi di respirazione.

In sanscrito l’inspirazione si chiama Pùraka, il trattenimento Kumbaka e l’espirazione Rechaka.

Per lo studente principiante è consigliato seguire delle lezioni di prànàyàma con un maestro così da poter apprendere più chiaramente quanto descritto. In un secondo momento potrà praticare la sua lezione di prànàyàma da solo.

Che cos’è il prânâyâma

Il prânâyâma è una parte importante dello yoga. Le sue tecniche sono state praticate per secoli da appassionati cultori dello yoga in âshrama remoti e ci sono state tramandate attraverso molte generazioni sia nella pratica sia in opere manoscritte. Fino a poco tempo fa questa arte e scienza del respiro yogico era completamente sconosciuta all’uomo comune, così come molte altre antiche arti indiane. Coloro i quali possedevano questa conoscenza e questa esperienza erano alquanto restii a rivelarle, a meno che un discepolo dimostrasse, attraverso una serie di prove, di essere pronto a ricevere tale insegnamento. Durante gli ultimi trent’anni, tuttavia, la situazione è cambiata, e argomenti come il prânâyâma, la meditazione, e perfino Kundalinî, vengono fatti oggetto di discussione in tutto il mondo, non solo da parte di maestri di yoga, ma anche da parte di gente comune e di scienziati. Più di recente varie tecniche dello yoga hanno cominciato ad attirare l’attenzione dei medici, dei terapeuti, e degli esperti di medicina. Si trovano facilmente medici e pazienti in grado di raccontare le proprie esperienze circa la cura di varie malattie per mezzo delle tecniche yoga. È stato provato al di là di ogni dubbio che il prânâyâma è un metodo molto importante per prevenire e curare vari disturbi. È importante tramandare all’uomo comune la conoscenza tradizionale di questa grande arte, in modo che essa possa essere adoperata, con il sostegno di un maestro, per il mantenimento quanto per il ripristino della salute.

Il prânâyâma è il quarto stadio dell’ottuplice yoga negli Yogasûtra di Patañjali: è questo il più autorevole testo di yoga. La maggior parte degli esperti ritengono che esso sia stato scritto nel secondo secolo prima di Cristo.

Le otto parti dello yoga trattato nel sistema di Patañjali sono: 1) yama, 2) niyama, 3) âsana, 4) prânâyâma, 5) pratyâhara, 6) dhâranâ, 7) dhyâna, 8) samâdhi.

II prânâyâma è menzionato anche nella Gîtâ, la quale e di gran lunga il più popolare libro sullo yoga. Né la Gîtâ né gli Yogasûtra contengono però una dettagliata descrizione di come deve essere praticato il prânâyâma: per questo dobbiamo rivolgerci ai testi dello hatha-yoga e ad alcune tarde Upanishad denominate Yoga-Upanishad. Questi testi risalgono approssimativamente al quindicesimo secolo dopo Cristo o ad epoche posteriori: ma non si deve trarre da ciò la conclusione che le tecniche del prânâyâma siano note da soli cinquecento anni. Molti riferimenti diretti e indiretti al prânâyâma (quali effetti produce, perché praticarlo, qual è la sua importanza) ricorrono nella letteratura vedica, nelle antiche Upanishad, nella Smriti, nei Purâna e in trattati come lo Yogavâsistha. Ciò dimostra che il prânâyâma e le sue tecniche erano conosciuti fin dal tempo dei rishi vedici. Sembra però del tutto certo che la pratica del prânâyâma venisse insegnata a pochissime persone e non abbia mai avuto una larga diffusione. Anche coloro che l’avevano appresa la seguivano più come parte di prescrizioni religiose che non come disciplina per il corpo e per la mente.

Il merito di aver reso popolare il prânâyâma come disciplina a sé stante e come metodo per conservare in buona salute il corpo e la mente spetta ai seguaci dello hatha-yoga. Essi gli attribuirono un posto molto importante fra le pratiche dello hatha-yoga e ne descrissero varie tecniche, mettendo in rilievo l’utilità di ciascuna di esse. Si dice che lo hatha-yoga consiste di quattro categorie principali di esercizi, vale a dire âsana, prânâyâma, mudrâ e nadânusamdhâna (quest’ultimo significa divenire consapevoli dei suoni interiori). Queste quattro categorie di esercizi dovrebbero infine condurre allo stato di samâdhi, il quale conferirebbe al singolo adepto dello yoga la conoscenza assoluta, o conoscenza del Sé: questa conduce a sua volta all’emancipazione, cioè alla liberazione dal ciclo delle rinascite.

Il prânâyâma è controllo del respiro, controllare e prolungare l’Energia Vitale

II prânâyâma può essere definito in termini semplici il controllo del respiro: la sua essenza consiste nel modificare i nostri processi normali di respirazione. La respirazione è quell’atto con il quale assumiamo aria dall’atmosfera per introdurla nei polmoni, assorbiamo ossigeno nel sangue dall’aria stessa ed espelliamo nuovamente l’aria nell’atmosfera unitamente ad anidride carbonica e vapore acqueo. Questa azione di inspirazione ed espirazione viene ripetuta ogni quattro o cinque secondi, sicché di norma noi effettuiamo circa quindici atti respiratori al minuto, immettendo ogni volta pressappoco 500 centimetri cubi di aria nei polmoni. Inspiriamo ed espiriamo quindi approssimativamente sette litri d’aria ogni minuto. Una qualsiasi modificazione di questo normale processo respiratorio non costituisce prânâyâma: infatti il modo normale di respirare si modifica in maniera evidente in determinate situazioni. Ad esempio, quando solleviamo o trasportiamo dei pesi, camminiamo in salita, corriamo, o facciamo dell’esercizio fisico, respiriamo più rapidamente ed energicamente. In alta montagna, dove l’atmosfera è rarefatta, il nostro respiro diviene pesante. Il modo di respirare si modifica anche in presenza di eccitazione emotiva, o in caso di disturbi quali asma, tubercolosi, bronchite e altre affezioni polmonari. In queste condizioni la modificazione del respiro si determina involontariamente, e magari inconsapevolmente, a meno che non si abbia difficoltà di respirazione. In realtà non siamo quasi mai coscienti del fatto che stiamo respirando.

II prânâyâma consiste in una modificazione del respiro effettuata in modo deliberato e cosciente. Possiamo modificare il respiro in tre diversi modi:

1) Inspirando ed espirando rapidamente, con atti respiratori poco profondi.

2) Inspirando ed espirando lentamente, con atti respiratori lunghi e profondi.

3) Interrompendo del tutto l’atto respiratorio.

Il primo modo di modificare il respiro non viene solitamente incluso nel prânâyâma propriamente detto, sebbene talvolta sia strettamente collegato ad esso. Il secondo e il terzo modo sopra menzionati appartengono al prânâyâma: di fatto la pratica del prânâyâma può ben essere riassunta nei due modi suddetti.

Affinché una modificazione del respiro possa essere considerata prânâyâma vi è ancora una condizione da soddisfare: si tratta della posizione del corpo. Vi è circa mezza dozzina di posture adatte allo scopo: esse sono chiamate posture meditative, dal momento che sono molto adatte per la meditazione. Fra di esse la più famosa è siddha-âsana, mentre la più facile e comoda è svastika-âsana: ma quella che tradizionalmente viene raccomandata più di ogni altra per il prânâyâma è padma-âsana. Il prânâyâma è definito da Patañjali come «una modificazione del respiro in una posizione seduta che sia immobile e comoda»: tale postura è parte essenziale del prânâyâma.

Il prânâyâma è dunque un’azione complessa in cui l’adepto, dopo avere assunto una posizione adatta, inspira ed espira lentamente, profondamente e completamente, ed effettua anche arresti del respiro. L’inspirazione nel prânâyâma è chiamata pûraka, che letteralmente significa «l’atto del riempire», l’espirazione è chiamata rechaka, che significa «l’atto del vuotare». La ritenzione del respiro è chiamata kumbhaka. Kumbha significa «vaso per l’acqua»: proprio come un vaso per l’acqua contiene acqua quando ne viene riempito, così nel kumbhaka il respiro è trattenuto nei polmoni dopo averli riempiti. In realtà il kumbhaka può essere eseguito in due modi: si può trattenere il respiro dopo un pûraka, oppure dopo un rechaka. La prima variante è maggiormente raccomandata nei testi tradizionali, essa è chiamata abhyantara-kumbhaka o antah-kumbhaka. La seconda variante del kumbhaka è chiamata bahya-kumbhaka.

Nei testi tradizionali i due termini prânâyâma e kumbhaka sono usati spesso come sinonimi: ciò può essere spiegato con il fatto che il kumbhaka e la parte più importante del prânâyâma. Su di un punto sembra esservi tra gli esperti divergenza di opinioni: se una respirazione modificata che non includa alcun kumbhaka possa essere considerata di per sé un prânâyâma. Ad esempio, se si eseguono soltanto pûraka e recata, si può dire che si sta praticando un prânâyâma? Alcuni autori, i quali sostengono che il kumbhaka è parte indispensabile del prânâyâma, insistono sul fatto che pûraka e rechaka da soli non costituiscono prânâyâma. Vi sono però altri autori che non sono d’accordo su questo modo di definire il prânâyâma.

Benefici del Pranayama

I benefici del Pranayama sono molteplici.

Fra i più immediati troviamo:

  • Facilitazione della circolazione sanguigna.
  • Maggior eliminazione delle tossine.
  • Aumento dell’efficienza respiratoria.
  • Controllo del respiro – controllo dell’energia vitale.
  • Controllo delle emozioni
  • Rimozione delle tensioni mentali ed emozionali.
  • Sviluppo delle sensazioni di benessere fisico e mentale.
  • Aumento della sensitività e della percezione di energie sottili.

Apprendere le pratiche di Pranayama è utile a tutti coloro che desiderano avere esperienze più intense nello Yoga, ma anche a chi, per esigenze personali o sportive vuole approfondire questa pratica.

Le funzioni del respiro

L’ossigeno è parte vitale della nostra esistenza: è importante per le funzioni degli organi interni, possiamo rimanere dei giorni senza mangiare, senza bere, ma senza respirare avremmo solo pochi minuti di vita.

Respirare è un’azione che accade spontaneamente, in altre parole si compie anche quando non ne siamo consapevoli; quindi, sembra strano pensare che qualcuno ci possa dire come farlo.

Eppure, anche se respiriamo dalla nascita, la nostra respirazione è scorretta, spesso è veloce e poco profonda: quando inspiriamo, non prendiamo sufficiente ossigeno e l’espirazione non è mai completa, di conseguenza non eliminiamo tutta l’anidride carbonica, creando un accumulo tossico nel corpo. La respirazione avviene attraverso i polmoni. Il loro movimento durante la respirazione avviene a seguito della contrazione e rilassamento dei muscoli del torace, dell’addome e del diaframma.

Senza esserne consapevoli assumiamo posture scorrette e sviluppiamo cattive abitudini come contrazioni muscolari che interessano soprattutto i muscoli del busto e delle spalle. Questi atteggiamenti posturali scorretti impediscono il movimento naturale dei muscoli intercostali e addominali che di conseguenza perdono tono e limitano le capacità polmonari rendendo il fiato corto e scorretto.

Ogni momento della vita è accompagnato dal respiro e il suo ritmo cambia con l’alternarsi dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

Il respiro, è in grado di mostrare il nostro stato d’animo, infatti, se siamo coinvolti da forti emozioni, sarà veloce e affannato mentre se siamo tranquilli, scorrerà lento e silenzioso.

Il respiro è anche in grado di cambiare le funzioni fisiologiche e chimiche del corpo quali movimenti viscerali, battiti cardiaci e sudorazione.
Tutto questo succede in pochi secondi e spontaneamente attraverso la funzione involontaria del respiro legata al nostro stato emotivo. È anche vero che la respirazione è l’unica funzione che, pur essendo involontaria e quindi “non cosciente” per la maggior parte del tempo, può essere posta sotto il controllo della volontà.
Ne consegue che la respirazione, essendo sia conscia sia inconscia, è un buon mezzo per ristabilire la comunicazione tra queste due dimensioni spesso dissociate e in conflitto tra loro. Se la mente e le emozioni influenzano il nostro respiro, allo stesso modo, lavorando su di esso e modificandolo, possiamo influenzare lo stato mentale ed emotivo.

Ed è proprio a questo che servono le pratiche di respirazione dello Yoga, queste ci permettono di avere un maggior controllo sul respiro. Infatti, se lo decidiamo, siamo in grado di modificarne il ritmo, basta pensare quante volte già lo facciamo durante azioni che si compiono istintivamente, come ad esempio trattenere l’aria nel sollevare un peso, o mentre infiliamo il filo in un ago, come espiriamo dopo aver superato un esame o un pericolo, o com’è lento e quasi nullo quando siamo incantati.

I Vaju – Soffio Respiro

Il respiro, nel corpo umano, segue percorsi differenti e svolge differenti funzioni; esso nella terminologia yogica è denominato Vaju = soffio.

Esistono diversi tipi di Vaju, come descrivono gli antichi saggi e i praticanti di Yoga, che sovrintendono a tutte le funzioni dell’organismo. Cinque dei quali sono i più importanti:

Prana: l’energia vitale, ascendente e fresca.
Apana: l’energia tiepida discendente.
Vyana: l’energia oleosa che permette i movimenti di tutte le membra.
Samana: l’energia mediana e calda.
Udana: flusso circolare di luce che si muove verso il basso nelle braccia e nelle gambe e verso l’alto attraverso la testa.

Prana circola nella parte del torace sopra al diaframma. Apana circola nel ventre e sovrintende all’eliminazione dei rifiuti organici e del seme. Vyana circola in tutto il corpo distribuendo l’energia derivata dal cibo. Samana alimenta il fuoco gastrico, mentre Udana circola nella gola e nella bocca e sovrintende all’alimentazione, alla parola e al respiro.

Oltre ai cinque Vaju principali ve ne sono altri che controllano i movimenti delle palpebre, dell’udito, ecc.

Il respiro è il nostro veicolo di scambio con l’esterno. Se ascoltiamo il nostro modo di respirare, possiamo accorgerci di come siamo dentro di noi e verso il mondo esterno.
Modificando il modo di respirare riusciamo a correggere quello che non va in noi.

Le Nadi

Le Nadi sono un complesso reticolo di 72mila canali energetici che percorrono l’intero organismo, dalla punta delle dita al centro del cuore fino al vertice del cranio.

Le diverse energie trasportate sono:

Prana l’energia vitale, ascendente e fresca
Apana l’energia tiepida discendente.
Sapana l’energia mediana e calda
Vyana l’energia oleosa che permette i movimenti di tutte le membra
Udana flusso circolare di luce che si muove verso il basso nelle braccia e nelle gambe e verso l’alto attraverso la testa.

La fisiologia delle Nadi è quella di distribuire queste energie attraverso le parti del corpo ed i vari centri sottili “Chakra” che controllano il sistema nervoso. Tra i 72mila Nadi, secondo i Tantra Yoga 14 sono i principali ma tre sono i più importanti perché controllano il flusso del Prana nelle varie parti del corpo. Queste tre Nadi sono Ida, Pingala e Sushumna.

Sushumna si situa nel primo Chakra il Muladhara, posto nell’asse cerebrosipinale che parte dalla seconda vertebra dell’area coccigea per arrivare nel settimo Chakra il Sahasrara, posto alla corona della testa. Si ritiene che il Sushumna Nadi sia dormiente in tutti gli esseri; perciò, finché Sushumna è inattivo, tutte le altre Nadi sono sotto l’influenza positiva e negativa di Ida e Pingala.

Quando attraverso le tecniche di Pranayama (di respirazione) stabiliamo un fluire bilanciato attraverso entrambi le narici, Sushumna si attiva e facilita l’ascesa dell’energia Kundalini.

La Kundalini è detta l’energia generatrice, è rappresentata dalla tradizione come un serpente addormentato, attorcigliato intorno alla base della colonna vertebrale dove risiede il Muladhara Chakra. Quando risvegliata la Kundalini, sale su per il Sushumna e irradia la testa. Questo fa sì che i poteri (siddhis) siano risvegliati e l’uomo sia ad un passo dalla conoscenza assoluta.

Ida e Pingala si avvolgono intorno al Sushumna in forma elicoidale, trasportando le polarità energetiche rispettivamente: femminile, lunare (negativa/discendente) e maschile, solare (positiva/ascendente). Ida Nadi controlla tutti i processi mentali, mentre Pingala Nadi controlla tutti processi vitali. Ida e Pingala funzionano nel corpo alternativamente e non simultaneamente.

Ida scorre lungo la parte sinistra del corpo. Sorge a sinistra dal plesso sacro coccigeo e termina alla radice della narice sinistra, stimola l’emisfero del cervello destro. Il suo flusso di energia scorre attraverso la linea dei primi 5 dei 7 Chakra principali ed è conosciuto come flusso Citta (mente), l’energia mentale della coscienza. Essendo il suo simbolo la Luna (Chandra) questo Nadi viene anche chiamato Chandranadi.

La funzione di Ida è quella di calmare e rinfrescare il corpo. Le sue funzioni sono assimilabili a quelle del sistema nervoso parasimpatico. Ha il compito di introvertire e conservare l’energia per attivare determinati visceri, aiutare la secrezione di enzimi nell’apparato digerente, aumentare la peristalsi e vuotare la vescica. Dal punto di vista mentale diminuisce l’identificazione con la struttura dell’Ego, per questo è lasciato maggior spazio alla creatività, alla libertà delle idee e all’intuizione.

Pingala segue il percorso opposto dell’Ida, sorge dallo stesso plesso coccigeo, ma termina nella narice destra e stimola l’emisfero cerebrale sinistro. È responsabile del controllo dei sistemi vitali corporei connessi con i primi 5 Chakra.

Il funzionamento di Pingala è sovrapponibile a quello del sistema nervoso simpatico che attiva il metabolismo: quindi stimola l’emissione di adrenalina con conseguente accelerazione del battito cardiaco, crea costrizioni nei vasi sanguigni della pelle e del sistema digerente, rallenta i movimenti peristaltici.

Dal punto di vista mentale, in Pingala il senso dell’Ego è incoraggiato e la consapevolezza è rivolta verso l’esterno.

Lo squilibrio del flusso energetico dei Nadi provoca un indebolimento immunitario che favorisce e predispone il sorgere di disturbi più o meno gravi nell’organismo.

Prana Energia Vitale

Il Prana è energia fisica, mentale, intellettuale, sessuale, spirituale e cosmica; è l’energia nascosta o potenziale esistente in tutti gli esseri, che si libera in pieno nei momenti di pericolo.

È il primo motore di tutte le attività. È l’energia che crea, protegge e distrugge. Vigore, potenza, vitalità, vita e spirito sono tutte forme di Prana.

Secondo le Upanisad, il Prana è il principio della vita e della coscienza. È equiparato all’Io reale (Atman). Il Prana è il soffio di vita in tutti gli esseri dell’universo, che nascono e vivono grazie a lui, e quando muoiono, il loro soffio individuale si dissolve nel soffio cosmico. È l’essere e il non essere. È la sorgente di ogni conoscenza. È la personalità cosmica (Purusa) della filosofia Samkhya. Perciò lo Yogi trova rifugio nel Prana.

Prana è solitamente tradotto come respiro, tuttavia questa è soltanto una delle sue tante manifestazioni nel corpo umano. Se il respiro si arresta, si arresta anche la vita.
È energia intelligente, più sottile che quella atomica, che costituisce la vita.

Nelle scritture Indù il Prana è descritto come un insieme di scintille di energia intelligente.

Nel mondo fisico vi sono due tipi di Prana:
L’ energia cosmica vibratoria onnipresente nell’universo.
L’ energia che sostiene e pervade il corpo umano.

Prana è la somma di tutte le energie contenute nell’universo. Per gli Yogi l’universo è costituito di Akasa, l’etere cosmico e di Prana, l’energia vitale. Tutte le forme della materia, nascono, quando il Prana agisce su Akasa.

Ci si può chiedere perché il termine Prana invece di Energia.
Per gli occidentali il termine energia esprime un concetto meno vasto e troppo materialistico rispetto al pensiero degli orientali.

Per gli Yogi il Prana è presente nell’aria, nonostante ciò, esso non è né ossigeno, né azoto, né alcun altro componente chimico presente nell’atmosfera; il Prana esiste nel cibo, nell’ acqua, nella luce del sole, è immateriale ma presente in ogni manifestazione divina.

Gli Yogi sostengono che il Prana può essere immagazzinato e accumulato nel sistema nervoso, che attraverso la pratica dello Yoga è possibile dirigere a volontà questa corrente di Prana mediante il pensiero, perché anch’esso è Prana.

In sostanza questo concetto corrisponde a quello della fisica nucleare, che considera qualsiasi materia come energia “arrangiata” in maniera diversa. Il magnetismo, l’elettricità e la forza di gravità sono manifestazioni diverse di energia.

Jung racconta di aver studiato che un gruppo di primitivi iniziava la propria giornata respirando nel palmo delle mani e offrendo il respiro al Sole nascente. Quando Jung li interrogò facendo loro gentilmente rilevare che quella, per lui, era solo una superstizione, gli uomini della tribù risero della sua incapacità di comprendere l’elementare “dovere” di offrire il primo respiro alla fonte d’energia che tiene in vita il mondo.